sabato 21 maggio 2011

TroiAmore

simplewishes:

feline obedience
Anton Esef photographer
Chuvstvennaya Devochka model
Non è riuscito a lasciarmi. Perchè, sia chiaro, ha provato a lasciarmi. Trema di paura all'idea di sentirsi legato a me. 
All'inizio non ha risposto al cellulare. Pensavo di diventare matta. Squillava a vuoto, poi la segreteria telefonica... perenne. 
L'ho raggiunto dove lavora. Di sabato non c'è molta gente... ma c'era comunque gente. 
Avevo addosso una frenesia immane, ero sconvolta. Gli ho chiesto perché non rispondesse al telefono. Mentre lui farfugliava qualcosa, dicendomi di aver perso il cellulare o qualcosa del genere, sono di colpo scoppiata a piangere.
Isterica ed infantile.
Il viso contro la parete bianca, sono rimasta così, a singhiozzare per qualche interminabile secondo, quando mi ha raggiunta alle spalle, sfiorandomi un braccio.
"Dai, non fare così...".
Mi ha attirata tra le braccia e sono esplosa in lacrime.
Appoggiati alla scrivania, mentre lo baciava e, famelico, ricambiava il mio bacio, la mia mano è scesa fino alla fibbia metallica dei suoi pantaloni, facendo scorrere la lampo... L'ho sentito turgido e voglioso nel palmo della mia mano, attraverso il tessuto dei boxer.
Lo masturbavo e la sua lingua continuava a penetrarmi la bocca nei più intimi recessi. Mi sono bagnata così tanto da provare vergogna. Ma ho notato con la coda dell'occhio che la porta era rimasta aperta.
Mi sono staccata dal suo corpo con un gemito di frustrazione, affrettandomi ad accostarla.
Sono tornata indietro, schiudendomi contro l'erezione che ho guidato lentamente fra le gambe, scostando l'orlo delle mutandine, puntandolo contro l'apertura della vulva e lasciandolo entrare appena, solo di tanto in tanto, mentre il groviglio delle nostre lingue cominciava a rendere difficoltosa la respirazione.
Un'occhiata di sfuggita... la porta - stramaledetta porta - nuovamente aperta.
Non ce l'ho fatta a interrompere per la seconda volta il miracolo che stava compiendosi.
Mi stringeva... mi ha stretta così forte da farmi male mentre lo portavo all'orgasmo con la bocca, adoperandomi devotamente, lussuriosa e famelica.
Gente si avvicendava lungo il corridoio anche mentre contro la sua scrivania mi prendeva da dietro, tirando con forza i capelli ad ogni affondo. Poi non ricordo... non ho visto né realizzato altro che non fosse l'effluvio torrido straripato tra le cosce, solcando le gambe, lambendo le caviglie... 
No, non ce l'ha fatta a lasciarmi.
Nell'ultimo  SMS di pochi minuti fa - e ininterrottamente da quando stamattina ci siamo lasciati - non fa che scrivermi deliziose porcate e frasi oscene. Mi parla della voglia che gli è rimasta addosso di mettermelo dentro in ogni posizione... Di quanto non si aspettasse di vedermi e di quanto teme, adesso d'amarmi.
Ma è più forte di lui d'ogni altra inutile e disperante cautela: avermi. Fottermi.
Più forte d'ogni altra fottutissima paura. 
Ed io così lo voglio.
Col cazzo duro, in tensione.
Si masturba davanti alle ultime foto in lingerie che gli ho mandato e mi pensa.
Mi pensa e gode.
La sua voce, alterata dal piacere, appesa al filo del telefono.
TroiAmore.
Sono la Puttana che non riesce a lasciare.
Sono la sua Puttana innamorata...

venerdì 20 maggio 2011

Il gesto più intimo

Servono altre parole?
E' quel che a pochi, rarissimi e speciali presenze,
figure maschili capaci di toccarmi
(e segnarmi) la vita,
è stato diffusamente
e amorosamente 
più volte concesso...

giovedì 19 maggio 2011

La benefattrice

Ho amato pochissimi uomini nella mia vita.
Ne ho scopati una quarantina.
Dai diciassette anni agli attuali (quasi) trentotto.
Che non sono poi neanche tanti.
Sono sempre stata una ragazzina timida e impacciata.
Quando ho iniziato a masturbarmi, le mie amiche usavano già la pillola anticoncezionale.
Io ero "avanti" nella testa, indietro per molte altre cose.
Ho sempre avuto i miei tempi, non ho mai fatto confronti d'esistenze e avevo il terrore - l'ho avuto per anni durante l'adolescenza - dell'intrusione dolorosa di quel grosso pezzo di carne nel limbo immacolato della mia intimità ancora intatta.
Più che il dolore fisico, temevo la sgradevolezza della sensazione di un corpo estraneo nel mio corpo.
Avevo quattordici anni.
Nove mesi più tardi avrei fatto il mio primo pompino.
Poco più di tre anni dopo, il primo rapporto sessuale completo.
Non mi sono mai piaciuti i "ragazzini", i cosiddetti coetanei.
Ho preso una sbandata epocale per un ragazzo splendido, con due occhi azzurri da sturbo ai tempi del liceo: ero in quarta ginnasio, lui faceva il secondo liceo.
Il giorno dopo avermi messo la lingua in bocca, l'ho visto lungo il viale alberato che portava a casa mia a fare la stessa cosa con una tipa borchiata e succinta.
Ho vomitato.
Da quel giorno credo di avergli tolto anche il saluto.
Ho iniziato a scopare con il prof. d'inglese. 
Mentre in macchina glielo succhiavo, lui recitava i versi di Shakespeare.
I "grandi" scopano da dio, i "ragazzini" sono solo buoni a metterti una mano fra le cosce e a lasciarti con la voglia di quel "di più" che i loro padri sapranno come appagare.
L'esperienza insegna e fa godere.
Da quel giorno non ho mai più permesso a uno sbarbatello under 40 d'infilarmi la lingua in bocca. Né altro in qualsiasi altro anfratto del mio corpo adibito ad essere riempito.
Dai diciassette anni in su, la ragazzina imbranata e goffa, il brutto anatroccolo si è trasformato nel cigno che se la tirava e che per anni gaudenti a venire avrebbe scopato a destra e a manca. 
In quegli anni ho realizzato che non esiste uomo in grado di cedere alle grazie di nessuna femmina ammaliatrice.
E se il motto: "Ogni lasciata è persa" resta il motto dei maschietti, io ho trovato la maniera di trarne agevolazioni e vantaggi.
Nel tempo - col senno di poi - ho avuto fra le cosce uomini assai infelici, frustrati, castrati da rapporti o matrimoni scialbi e sporchi d'abitudine, soffocati da mogli o compagne timorate di Dio buone solo a farsi ingravidare secondo i riti di Sacra Romana Chiesa.
Farselo mettere nel culo non era pratica contemplata.
I mariti di talune borghesi frustrate, frigide e benpensanti, credo d'essermeli passati in rassegna tutti quanti, uno via l'altro.
Noia, tedio, infelicità e una straripante voglia di vita e sana lussuria braccata da un perbenismo morale ed ipocrita che ammazza più della fama e dell'ignoranza messi insieme.
Con alcuni mi sono concessa in un atto unico.
Ad altri ho riservato diverse repliche.
Quando s'innamoravano, li scaricavo. Sparivo.
Con uno soltanto mi sono "bruciata". 
Nove anni di passione torrida. Le peggio porcate, il sesso migliore.
Leggevamo Victor Hugo dopo aver scopato selvaggiamente o mi declamava versi d'amore di Pessoa mentre riversava fiotti di piacere biancastro nel mio ventre.
Forse è ciò che più ho amato e amo.
Un poeta capace di fotterti culo e anima con la stessa impeccabile e disarmante grazia.
L'ho lasciato soffrendo le pene dell'inferno senza sconti il giorno in cui ho temuto di aspettare un figlio.
Avrei scoperto dopo trattarsi solo di un falso allarme, ma da quel falso allarme ho capito che era giunta l'ora di voltare pagina e cominciare a scrivere un capitolo nuovo della mia vita.
Restituendolo alla moglie frigida e incazzosa (farci l'amore era come leggere un bollettino di Borsa, testuali parole dell'infelice consorte) e riprendendomi il cuore carente di qualche ammanco di battiti e sangue versato. Con un buco enorme - vuoto, carenza bisogno - che altri amanti ben accessoriati avrebbero riempito.
Una storia di nove anni.
Piangi nove giorni e pensi che non scoperai mai più.
Passano i nove giorni, versi tutte le lacrime - anche quelle che non pensavi di possedere - e ti svegli poi, un giorno, scoprendo che per donne come te è sempre un azzardo pronunciare frasi estreme e "Mai più".
Soprattutto quando si tratta di scopare...








mercoledì 18 maggio 2011

quickienewyork:

©2011 The Dirty Gentleman (#145)

In genere preferisco l'autoerotismo, ma quando è un uomo a masturbarmi... il tocco è più "presente", il ritmo concitato, il movimento imperioso raggiunge vette forsennate d'incalzante trasporto.
Perché non c'è uomo che sia passato dal mio letto che non abbia vissuto questa "pratica" come il più sublime dei preliminari.
Senza considerare il piacere sempre reso...

martedì 17 maggio 2011

Alice nel Paese delle Pornovoglie

Mi piace vestirmi da Alice nel paese delle meraviglie. Colori pastello, maniche a palloncino, ampie gonne color ciclamino o rosa confetto a nascondere raffinatissime calze autoreggenti dal bordo in pizzo. Bianche o color champagne. In ogni caso colori neutri. Ho una pelle diafana, un viso di porcellana e grandi occhi cerulei. Sono stata anche bionda una volta. E rossa. Adesso la mia chioma fluente sotto i raggi del sole assume riflessi ramati. All'ombra hanno la corposità del mogano e l'intensità di certi frutti di rovo... Mi sono iscritta per gioco a uno di quei social network che consentono di conoscere gente nuova, allacciare rapporti d'amicizia, d'amore o, semplicemente, consentire d'evadere per una sera o una notte.
Sono una scrittrice freelance. Uso la gente per scrivere. Sono curiosa, coltivo l'attitudine alla mente umana e alla provocazione velata: non tutti abbiamo le stesse reazioni posti nello stesso contesto. A me non interessano le circostanze, ma come l'animo umano si pone in determinati frangenti. E scoprire in quanti modi diversi io riesco a pormi o rivelarmi a seconda dei soggetti con i quali interagisco. 
Giulio era un libero professionista con la passione per i vini. La sera in cui ci siamo conosciuti, mi ha portata in un ristorante discreto: pochi sfarzi e cibo delizioso. Ho ordinato del filetto di salmone affumicato, un'insalata mista e fragole innaffiate da tanto limone. 
Lui ha scelto dal menu della carne grigliata, patate novelle e un tiramisu.
Abbiamo consumato un vino rosso particolarmente corposo, delle olive e della bresaola con dei crostini di pane come antipasto. 
Anche quella sera indossavo un vestitino blu cielo. Modello ampio in stile collegiale di Vivian Westwood. Guance e bocca di fragola e il mio immancabile Trésor.
Giulio aveva l'aspetto da manger nel suo completo blu. Camicia bianca e cravatta bordeaux completavano l'abbigliamento inappuntabile, forse un po' troppo rigoroso. 
Senza troppi giri di parole, mi ha fatto notare di apprezzare particolarmente il modo in cui passavo la lingua intorno alle labbra, rigirando in bocca le fragole per succhiarne l'essenza prima di inghiottire il boccone.
Inutile, d'altra parte, negare che anche per me si è trattato quasi di un colpo di fulmine. Per carità, non parlo dell'uomo sul quale ti ritrovi a fantasticare un matrimonio e due o tre pargoli da sfornare giurandosi amore eterno. No, non sarebbe da me... Quando incontro un uomo che mi piace, io penso subito a come vorrei succhiarglielo, alle varianti che potremmo adottare per godere l'una dell'altro. A questo penso, tutto il resto sono sbadigli e favole che lascio alle novelle principesse dai sogni non ancora infranti. 
"Ce l'ho duro. Potresti prendermelo in bocca e fare con me quello che stai facendo con quelle fragole", mi ha detto serafico sorseggiando del vino.
Mi sono guardata intorno con circospezione e ho sorriso nervosamente.
"Qui?", ho chiesto attonita.
Lui ha scrollato le spalle e ha risposto con disinvoltura: "Perché no?".
Ho raccolto il tovagliolo appoggiato sul grambo e ho fatto sì che scivolasse ai piedi del tavolo, sotto il quale sono scivolata per raccoglierlo. Ho notato che nessuno badava a noi, così come nessuno si era soffermato su quel gesto. Alzando lo sguardo ho notato la sua mano che armeggiava con la cintura dei pantaloni e si apriva la patta, liberando dai boxer l'erezione che ora svettava sotto il mio naso. Limitandosi ad appoggiare il suo tovagliolo sul grembo, per non destare attenzione. 
L'ho sentito trasalire quando la lingua ha iniziato a sollecitare la punta del pene, attraversato da uno spasmo quando, con una mano ferma alla base del suo prezioso gingillo, ho spinto la testa in avanti, lasciando che si spingesse fino in gola. 
L'ho leccato, mordicchiato, succhiato voracemente... portandolo sul punto di venire e riprendendo placidamente il mio posto per godermi la sua espressione stravolta dal desiderio e dalla frustrazione.
"Non vorrai lasciarmi così!", mi ha bisbigliato digrignando i denti.
"Torna a finire il lavoro che hai iniziato, troia!".
"Perché non paghi il conto?", ho suggerito senza guardarlo.
"Credo che dovremmo uscire da qui".
Non si può certo dire che abbia perso tempo in convenevoli.
Il parcheggio era pressoché deserto dopo mezzanotte. Ricordo che Giulio si è fermato davanti al codano della sua Porshe e ha tirato fuori il suo sesso marmoreo: sembrava volesse esplodere mentre si faceva una sega, guardandomi alzare l'ampia gonna e abbassare le mutandine.
L'ho raggiunto voltandogli le spalle e offrendogli le mie due sfere perfette mentre, leggermente piegata in avanti, con le gambe ben aperte, spingevo due dita nel mio lago bollente, torturando il clitoride durissimo. 
Ho soffocato un gemito, mordendomi il labbro inferiore quando l'ho sentito forzare la mia apertura, spingere contro lo sfintere ed entrarmi dentro implacabile. 
"Hai un cazzo enorme", mi sono lamentata cercando di adattarmi, più che alle dimensioni, in realtà alla consistenza virulenta dei suoi affondi ripetuti, mentre mi spingeva contro il cofano dell'auto e con le mani mi allargava ulteriormente le natiche, sbattendo con forza contro il mio corpo con una sequenza di colpi forsennati.
Abbiamo gridato all'unisono, in un fiotto di umori corposi che hanno schizzato rivoli d'impeto e piacere a colarmi fra le cosce. 
Che meraviglia quando non c'è amore. Quell'inutile sentimento a castrare impulsi e mediare istinti. Quelle disperanti attenzioni, la mediazione disperante tra voglia e decenza. 
Riversa, supina, con la schiena contro il metallo freddo della macchina, sono rimasta immobile mentre mi strappava con forza il corpetto del vestito e mi spingeva il grosso membro pulsante tra i seni, masturbandosi affinché l'erezione si rinvigorisse. Aprivo la bocca solo per leccarlo o suggerlo un po' quando la punta s'accostava alle mie labbra. La stessa che disegnava arabeschi di vizioso piacere intorno ai capezzoli e che riprendeva, un attimo dopo, a spingere tra le due grosse bocce che con le mani premevo intorno alla sua virilità nuovamente turgida e bagnata. 
"Voglio che fermi una di quelle macchine", mi ha intimato roco ed eccitato, indicandomi con uno sguardo la strada lungo la quale sfrecciavano auto in entrambe le direzioni.
"Non importa chi. Ferma uno e scopatelo".
"E perchè dovrei farlo?", ho replicato in tono di sfida.
"Perché te lo dico io, troia!", ha risposto strattonandomi con veemenza per i capelli.
"Ti piacciono le situazioni al limite, eh? Ti piace giocare... Beh, stasera ci divertiremo: hai trovato pane per i tuoi denti!".
Non potrò mai dimenticare la sensazione dell'aria pungente della notte risalire l'orlo della mia gonna ed insinuarsi tra le pieghe della mia ininmità. Così come non scorderò mai il lungo brivido che, passo dopo passo, sull'eco dei miei tacchi sull'asfalto, ad ogni metro percorso mi restituivano la sfrontatezza e la voglia di spingermi oltre ogni limite mai varcato prima d'allora. 
Quando ho visto lampeggiare i fari di un'auto che dopo qualche metro mi ha accostata e il braccio di un uomo ha abbassato il finestrino, per un attimo ho trattenuto il respiro.
"Quanto prendi?".
Quella domanda mi ha riportata gelidamente alla realtà.
"Cosa?", ho chiesto con voce incerta, studiando l'aspetto anonimo ma distinto dell'uomo che sfoggiava una grossa fede all'anulare della mano sinistra.
"Non lo so... Quello che vuoi", ho farfugliato aprendo la portiera perché l'uomo potesse sistemarsi sul sedile accanto alla guida.
Senza troppe cerimonie ho schiuso le gambe intorno ai suoi fianchi e sono scivolata sul suo grembo, aprendogli i calzoni con pochi gesti freddi e meccanici. 
Giulio, oltre l'avvallamento d'erba e terra battuta che si frapponeva fra la strada ed il viale scosceso che conduceva al parcheggio esterno al locale, stava masturbandosi vigorosamente, senza mai distogliere l'attenzione da ogni mio passo. 
"Non metterlo subito dentro", mi ha detto lo sconosciuto, eccitandosi quando ho iniziato a muovere la mano sul pene tozzo e gonfio.
"Strusciatelo un po' fra le cosce", mi ha istruita con una risata fastidiosissima e un'aria da porco assatanato.
"Mi piacciono le tue cosce... sembri una bambola". 
Le luci della macchina continuavano a lampeggiare e altre auto seguitavano a sfrecciarci accanto. Sentivo sotto le dita il sesso dell'uomo bagnarsi e spingere contro il mio inguine mentre si contorceva ansimando di volermi prendere sulle scale, contro la ringhiera, masturbandosi fra le mie cosce mentre mi apriva le natiche e lo spingeva tutto dentro. 
La voce gli si è spezzata in gola mentre schizzava sperma sul mio ventre, tra le dita e sulle mie gambe, continuando a venire con fiotti ravvicinati e violenti, masturbandosi con foga contro la mia coscia. 
Non ho provato niente. Non ho sentito niente. Solo tanta tristezza per quel piccolo uomo dal piccolo sesso tozzo, incapace di far godere una donna e in grado di godere solo immaginando situazioni che non avrebbe mai saputo vivere davvero. E anche nel suo immaginario erotico, l'orgasmo arrivava sempre fuori dal corpo di una donna. 
Ha fatto scivolare una banconota di cento euro all'interno della mia borsa ed è ripartito di gran fretta.
Mentre m'incamminavo lungo la via del ritorno, riassettandomil vestito alla meno peggio, un'altra macchina mi ha fiancheggiata, spegnendo luci e motore.
Dall'abitacolo sono usciti due ragazzi visibilmente alticci e una donna. Una bella donna. Vent'anni, forse venticinque. Biondissima e scosciata.
"Mica vorrai andartene proprio adesso?", ha esordito uno dei due, palpandomi pesantemente il culo.
"Domani il mio amico si sposa con questa gran gnocca. Vogliamo fargli un bel regalo di addio al celibato?".
"Tanti auguri", ho risposto gelida e cortese. "Per me però si è fatto un po' tardi, mi dispaice".
"Per favore", ha esordito la ragazza mentre voltavo loro le spalle.
"Ci tengo tanto a fare un regalo al mio fidanzato. E tu gli piaci molto... Sarò molto generosa con te", ha aggiunto mentre la sua voce mi sfiorava i capelli come una carezza lieve. 
"E' ubriaco", ho constatato rivolgendo uno sguardo freddo e distratto all'uomo che, appoggiato alla macchina, sorrideva senza che ve ne fosse ragione.
"Domani non ricorderà più niente". 
E' avanzata verso di me inducendomi ad indietreggiare fino al lampione. Mi ha aperto il vestito scoprendomi i seni e mi ha schiuso le gambe non una carezza gentile, insinuandosi tra le pieghe della mia intimità senza che riuscissi tentare la minima resistenza.
Era diverso dal toco di un uomo. Aveva mani affusolate e dispensava lente carezze che, muovendosi davanti e dietro, ritmicamente, facevano sì che ondate di calore intenso divenissero piacere nel progressivo languore che mi faceva cedere le gambe. 
Anche il modo in cui intrecciava la sua lingua alla mia ed il suo sapore erano diversi da quello di un uomo. E per me era tutto nuovo. Una vertigine. La giovane donna ha iniziato a strusciarsi pesantemente contro il mio corpo mentre l'amico del suo fidanzato la prendeva da dietro e le dita di lei si adoperavano alacremente per portarmi all'orgasmo mentre stringeva una mano intorno al mio seno e, piegandosi, portava la testa più vicina al mio pube, immergendo la lingua negli umori colavano dalle mie cosce, leccandomi e succhiando più volte il clitoride, procurandomi un piacere intenso.
Quando mi slegata da quel contatto intimo, lei si è aggrappata al lampione e l'uomo alle sue spalle ha continuato a possederla furiosamente, strappandole gridolini d'assenso e voluttuosi gemiti di piacere. 
E' incredibilmente eccitante vedere due corpi che si penetrano e il corpo dell'uomo sbatteva contro quello della teutonica bionda con un impeto dal quale era impossibile non lasciarsi coinvolgere. 
Il suo fidanzato, più che dal mio corpo che cavalcava il suo enorme sesso vigoroso, sembrava eccitato dalla visione della sua futura moglie inculata dal suo amico e ame, del resto, poco importava di come o quanto avrebbe goduto. Ero eccitata, fradicia, con la voglia di qualcosa di duro fra le cosce, capace di sbattermi e farmi godere. Finalmente godere. 
Mi sentivo piena e più lui continuava a riempirmi, più i miei fianchi sbattevano contro i suoi, il bacino si alzava e tornava a scendere sul suo vigoroso palo di carne, schizzando umori e rantoli spezzati dalla foga con cui, al culmine dell'amplesso, mi ha afferrata, impalandomi ripetutamente sul suo membro ingrossato da contrazioni che culminavano in fiotti intensi di sperma che m'inondavano il ventre, la vagina, la parte interna delle cosce e, ogni volta, mi trattenevano sempre più a lungo, fino al culmine dell'orgasmo che ci ha uniti nello stesso grido liberatorio. 
Mi sentivo troia come non mai mentre tornavo verso il parcheggio. Troia e appagata, fiera della mia libido, della soglia oltre la quale mi ero spinta. 
Una banconota da cento euro e una da cinquecento. Ben arrotolate, strette nella mano che ho trasferito in quella di Giulio, guardandolo con aria trionfante, piena di disprezzo ma in fondo grata.
"Questi te li sei meritati, tesoro".
L'ho zittito sfiorandogli le labbra con due dita mentre stava per replicare, l'erezione nell'altra mano e l'espressione smarrita.
"Ma si, tu sei stato la mia puttana per una sera. E hai ragione, mi sono divertita molto... E' stato illuminante".
Appoggiato contro la portiera, lui non ha resistito all'impulso di masturbarsi più vigorosamente, ormai prossimo a godere per l'ennesima volta. 
E, in un inutile quanto infantile gesto di pudore, si è voltato allargando le gambe e spingendo il bacino in avanti mentre il membro si contraeva e spingeva nella sua mano, frenetica lungo l'asta, cacciando un grido soffocato quando fiotti di sperma hanno raggiunto la fiancata e la sua voce e diventata poco più di un suono gutturale. Mentre stringeva nell'altra mano le due banconote ridotte qusi a cartastraccia nell'atto supremo di quel tristissimo assolo. 
Non sono tornata a casa con lui. Non si è nemmeno accorto che io sia andata via. 
Lungo la strada che dai Castelli scendeva verso Roma, ho fermato un'auto e ho chiesto un passaggio fino a casa. 
Abbiamo fatto solo una breve sosta nel piazzale di un autogrill. Abbiamo imboccato la porta della toilette e, in piedi, con la faccia sprofondata contro la mia spalla, abbiamo scopato.
E' stato tutto molto veloce, ero già dilatata e lubrificata, con i postumi degli orgasmi multipli colllezionati nelle ultime ore e in quel posto squallido, anonimo e maleodorante, più che di quel sesso che si muoveva fuori e dentro di me, stantuffandomi l'ano e facendo sbrodoloare la mia passerina, ho goduto della donna che avevo scoperto di saper essere. Forse d'esser sempre stata.
Preferendo, in cambio di un passaggio, dare il culo piuttosto che tante spiegazioni a uno sconosciuto. L'anima, come l'intimità di una persona, sono qualcosa si privato e non accessibile: ci vuole tempo e testa per capirmi, per entrami dentro. Nell'anima, appunto.
Per penetrarmi il corpo basta un pene che sappia adoperarsi per riempire tutti i buchi fatti apposta per essere riempiti. Un pene: non serve poi molto per fottere una donna. Almeno fra le cosce. E poi avevo bisogno di scrivere un altro capitolo del mio libro: mi serviva altro materiale e ho fottuto, io, chi - lasciandosi fottere - ha reso possibile la stesura della pagina che state leggendo, con il vostro sesso a smaniare nei pantaloni e la mano che cercherà d'arrecarvi un po' di sollievo, mentre sognate della vostra Alice nel Paese delle Pornovoglie.

lunedì 16 maggio 2011

Piacere senza ritorno


Mi accompagna da stamattina il desiderio di prolungare l'ebbrezza che, fin dalle prime ore della giornata, mi è stata regalata dalle folate primaverili che mi hanno trovata nuda sotto le balze della gonna di raso, insinuandosi tra le pieghe delle labbra umide; la verità è che mi fa sentire tanto troia l'idea della gente che, passandomi accanto, non sa.
Non sa né certamente potrebbe immaginare che, passo dopo passo, sto eccitandomi e inseguo e perseguo la tentazione di strusciarmi contro qualcosa, rifugiarmi magari dentro qualche portone lasciato sbadatamente accostato, tirare fuori il dildo che mai potrebbe mancare tra le tante cianfrusaglie accatastate nella mia borsa e dar libero sfogo ad ogni lussuriosa voluttà... con il rischio di essere vista o scoperta: tanto meglio! 
Oppure - cosa a cui ho pensato per tutto quanto il giorno - avrei voglia di masturbarmi davanti a un uomo che mi guarda e si eccita senza potersi avvicinare né toccarmi.
Potrei farlo venire e venire ripetutamente mentre cercherebbe di darsi sollievo muovendo avanti e indietro la mano intorno all'erezione svettante del suo maestoso membro.
Che strano, pensavo che è - questa - forse la sola pratica che non ho mai... praticato con un uomo.
Masturbarci a vicenda... ma non parlo di preliminare, non dico una "cosa così, tanto per...", roba di pochi minuti. No. Parlo di un gioco lento ed estenuante, parlo di orgasmi e liquidi umorali, di farsi stantuffare le viscere da un grosso aggeggio fallico mentre le dita torturano il clitoride in fiamme e vengo e lui viene... e insieme veniamo...
Poi niente di macchinoso, niente strategie né giochetti. A cosce aperte, su un letto, magari non del tutto svestita, aspettare solo d'essere penetrata da qualcosa di turgido e smanioso, febbrile e pulsante... 
Un colpo via l'altro. Niente zucchero filato e preludi da romanzetto rosa.
Mi distraggo giusto un attimo...
Oggi l'editore mi ha suggerito attraverso una mail di rivedere il contenuto, la sintassi, il senso, il filo logico...
Che cazzo di coglione invertebrato!
Cos'è che avrei dovuto rivedere? Cos'è che non gli torna?
A parte il fatto che ha impiegato tre settimane a leggersi un racconto da 24000 battute, dubito abbia avuto neuroni attendibili al momento di scrivermi quella mail da medio-borghese frustrato!
Chissà quante seghe si sarà fatto... porco rincoglionito!
Lo stronzo che sale in cattedra a darmi lezioncine su come si scrive... Venisse a godere fra le mie cosce, che sarebbe - presumo - il primo orgasmo della sua vita!
Il racconto in questione è "Quel torrido Agosto", uno dei primi racconti editati su questo blog.
Ditemi ora voi che cazzo c'è da capire... e in quale altra forma dovrei rivedere forma, sintassi e bla, bla, bla... Andasse a farsi fottere! Più frequento il mondo dell'editoria e più considero gli editori una sottospecie d'uomini e donne sottosviluppati.
Mentalmente non v'è dubbio. Sono una categoria a parte.
Sarebbero da interdire o, più umanamente - con una buona dose di carità umana - da compatire.
Ma tornando a noi... si, avete capito: ho voglia di scopare.


Non fare l'amore. Ho proprio voglia d'essere sbattuta. 

E non scrivere pene, piacere, ano, intimità, accoppiamento... ma dire cazzo, orgasmo, culo, figa, scopata. E di cazzo riempirmi ed essere riempita.


Culo, figa, bocca... 
Così, aperta... che si perdano i contorni della decenza, che ci si scordi delle fottutissime buone maniere, che si intingano le dita (e non solo quelle...) nella schietta indecenza, ché se la lingua di un uomo scivola dalla vulva al culo e torna indietro, ripartendo dal culo per lubrificarmi il clitoride... e lo fa più volte, ripetutamente, penso che potrei venirgli in bocca fino spandere umori e gemiti nel raggio di un paio di miglia. Senza riuscire a smettere.
Già, perché sono anche multiorgasmica.
E me ne strafotto di quel che un uomo possa pensare di me mentre è lì che mi scopa.
Non ho frequentato un solo uomo in vita mia che non mi abbia voluta signora in società e troia sotto le lenzuola. E io troia divento.
Senza neanche troppo faticare perchè io nasco troia. 
Sono una troia. Non la do via per soldi, ma godo moltissimo nel darla.
Non potrei vivere senza sesso. 
Toglietemi tutto ma non il beneamato cazzo!
Sono volgare, lo so... intanto però vorrei proprio vedere quanto v'è diventato duro e chi, tra i gentili lettori - distratti o affezionati - non muoiono dalla voglia di tapparmi la bocca e spingermelo nel culo con un solo colpo di reni.
Magari farmelo sentire fino in fondo... 
Mi piace esser presa da dietro (un'altra cosa che non potevate sapere prima...). Più mi si usa violenza, più il sesso è hard, duro, incalzante... più mi piace.
Amo il sesso fatto bene. 
Le smancerie non sono per me.
Quelle le riservo a chi amo.
Chi non amo ha solo l'incombenza (assai piacevole) di leccarmi, succhiarmi, farmi sbrodolare un bel po', fare con me le peggiori porcate che mai oserebbe fare con la fidanzata timorata di Dio o con la mogliettina casta e pura e fottersi uno dei miei buchi.
Chi dice di poter vivere senza tutto questo è falsa, è frigida o mente sapendo di mentire.
Stasera ho voglia di qualcosa che non impegni troppo la mente. Di un uomo che abbia solo voglia di "svuotarsi" dentro di me e farmi venire, venire e venire...
Ho voglia di saltare la cena, di cavalcare furiosamente un cazzo per ore...
Sarei perfino tentata di lasciare qui il mio numero di cellulare, farmi trovare con addosso uno dei miei stringatissimi corsetti tutti pizzo e trasparenze e scopare in piedi, sulla porta, saltando le presentazioni.
Sono certa che il "fortunato" non avrebbe la minima esitazione nel tirarlo fuori, inchiodarmi magari contro la parete e spezzarmi il fiato, costringendomi a una penetrazione dolorosa e interminabile...
Ho voglia di qualcosa di duro e caldo che mi faccia male e mi faccia godere.
E che quando ha finito si rivesta e vada via senza neanche chiedermi il nome.
E senza più tornare...

Casta e pura

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Mi chiamo Ines. Nome spagnolo che corrisponde ad Agnese e significa "casta e pure". Furono gli spagnoli ad introdurre il nome in Italia durante la loro permanenza durata molti secoli, ma Ines divenne di moda nell'Ottocento quando ebbero un certo successo opere letterarie e teatrali ispaniche. In particolare, la storia tragica di Inés de Castro, una dama castigliana vissuta nel XIV secolo, ha contribuito a rendere il nome molto popolare. lnés de Castro andò in Portogallo come dama di onore della principessa Costanza di Castiglia erede al trono. Divenne però l'amante di Pietro e poi, dopo la morte di Constanza, sua concubina. Il padre di Pietro, il re Alfonso IV, tentò di persuadere il figlio a cessare la relazione illecita, costringendo Inés all'esilio. Pietro preferì raggiungerla; Alfonso allora decise di recarsi al castello di Albuquerque, dove si trovava Inés, e la fece decapitare. Un'altra lnés celebre è la protagonista del Don Giovanni Tenorio di Tirso de Molina, a cui si sono ispirate poi tutte le opere dedicate al celebre libertino. La dolce figura di Donna lnés ha contribuito nei secoli scorsi a diffondere il nome in Spagna, dove è molto frequente, e poi, di conseguenza, in Italia con l'arrivo degli spagnoli. 
Mi chiamo Ines e in questa camera d'albergo trascorro un paio d'ore, tutti i martedì e tutti i venerdì da sedici mesi a questa parte. Incontro sempre lo stesso uomo che ho rimorchiato l'ultima sera di Carnevale. Allora portavo una maschera e un sontuoso abito veneziano del Seicento. Lui fuori dal locale era mezzo ubriaco e molto infelice. E' scattato qualcosa che abbiamo percepito entrambi. Non ci siamo presentati, io ho tenuto la mia maschera di piume e paillettes, lui in un vicolo buio, stretta contro un muretto, ha voluto che mi masturbassi ed io, senza batter ciglio, ho fatto scivolare una mano sotto l'ampia gonna a balze, ho scostato l'rlo delle mutandine di seta color champagne e ho iniziato a muovere le dita fuori e dentro la vagina che pian piano s'inumidiva: ho giocato con il clitoride, mi sono penetrata a lungo mentre lui mi palpava un seno attraverso il prezioso corpetto del vestito. 
Non ha voluto conoscere il mio nome, così come io non ho mai chiesto il suo. Mi ha bloccata quando stavo per venire, inchiodandomi al muro e scivolandomi tra le gambe ansimando d'impazienza mentre strusciava il suo membro eretto sul Monte di Venere, appoggiando la punta del pene sull'apertura della vulva, facendomi solamente pregustare il turgore del sesso che spingeva impercettibilmente tra le gambe saldamente ancorate intorno ai suoi fianchi. 
E' stato il nostro primo ed unico alvergo. La nostra prima stanza. La nostra prima notte. 
A cosce spalancate sulla sua faccia. mi sono offerta oscena alle scrupolose attenzioni della sua lingua, muovendomi in modo da consentirgli di penetrarmi ogni anfratto aperto e disponibile, e più mi sentivo venire, più lui leccava e succhiava, e più io godevo, più alla lingue e alle labbra aggiungeva un dito, poi due... nell'ano. Il terzo torturava il clitoride intorno al quale si muoveva frenetica la mia mano, accelerando le contrazioni. Ho cominciato a schizzare sulla sua faccia e lui avido beveva i miei umori. Con l'altra mano si masturbava il grosso pene eretto. Chinandomi in avanti, mentre la sua lingua mi esplorava l'ano, l'ho preso in bocca, ingoiandolo fino alla base. Era bagnato e lui gemeva piano, intensificando l'intensità della sua lussuria rivolta ai miei due buchetti ben lubrificati.
Appoggiando i denti intorno alla cappella, ho passato più volte la lingua sulla parte più sensibile, ho percorso l'asta in tutta la sua lunghezza e, lentamente, ho cominciato a leccare e suggere i tesiccoli, mentre una mano si muoveva avanti e indietro, masturbandolo vigorosamente.
Mi piaceva venire in quel modo. E volevo farlo godere per ricominciare ad eccitarlo. 
Ho sfregato il pene gonfio e duro contro il seno, facendolo passare tra le tette, l'ho poi imprigionato, stringendo la perfezione delle mie due sfere di carne intorno al suo sesso traslucido e pulsante. 
Gli ho offerto la bocca quando qualche goccia di sperma ha iniziato a schizzarmi addosso, fino ad ingoiarlo completamente un attimo prima che esplodessero, ravvicinati e violenti, i primi tre fiotti, incalzata dalle sue spinte e pressata dalla mano che m'inchiodava alla sua erezione.
Le continue sollecitazioni della sua lingua avevano allargato l'ano in modo osceno e con due dita piantate nel mio lago bollente, ripetutamente e vigorosamente penetrata, ho sentito in un attimo il ventre contrarsi e liberare un fiume in piena di sensazioni umorali. 
Ho gridato mentre lui aveva un orgasmo che l'ha fatto aggrappare alle lenzuola e flettere il bacino perché il suo membro mi raggiungesse la gola nell'attimo in cui raggiungeva l'apice del piacere. 
E' così che ci siamo conosciuti. E da quando abbiamo iniziato a scoparci e abbiamo scoperto che ci piaceva come non era mai accaduto con altri partner, non siamo più stati in grado di smettere. E' diventata una specie di droga, una dipendenza reciproca. 
Spesso cominciamo a baciarci e a toccarci sulla porta. Una volta sono inciampata cpn il tacco nella moquette e sono caduta: lui dietro me, riverso sul mio corpo. Abbiamo riso tanto. Poi, d'un tratto, abbiamo iniziato ad ansimare. La sua mano fra le mie cosce aperte. Una spinta soltanto. brusca. Poi, lui immobile dentro di me: un lungo gemito mentre m'inarcavo accogliendolo nel ventre. Siamo rimasti così, vigili e abbandonati alle reciproce contrazioni che, come onde calde, s'infrangevano tra i nostri corpi incastrati. Ci siamo posseduti e penetrati con una flemma esasperante, con le mutandine abbassate appena sotto le cosce, la sua stretta intorno ai fianchi e i suoi affondi sempre più concitati e rapidi. Abbiamo goduto quasi subito. 
"Voglio fotterti, Ines", gemeva roco muovendo il suo corpo febbrile sul mio, nudo ed esposto, scosso da fremiti e sospiri mentre mi penetrava.
"Sei bella e le cose belle si ha voglia di fotterle".
In questa camera d'albergo, con una gamba sollevata sul bordo del lavandino, poco fa lui mi ha scopata con la furia di un animale in calore. Stavolta mi ha fatto male perché non mi aspettavo d'essere ragginta alle spalle mentre, ancora nuda e gocciolante, cercavo un asciugamano intorno al quale avvolgermi dopo una doccia rigenerante. Aveva una strana febbre addosso, mi ha piegata sul marmo freddo e il suo sesso turgido si è fatto largo tra le mie natiche con un solo colpo, strappandomi un urlo di stupore misto a sofferenza. 
Ho dovuto inumidire due dita ed immergerle nella vagina, dandomi piacere per lenire il dolore che ogni suo affondo mi procurava. L'ho sentito trasalire sulla mia schiena e stringermi una coscia contro il lavandino mentre mi penetrava con incontrollabile foga. E' venuto gridando il mio nome, colando copioso tra le natiche e inondandomi di rivoli caldi l'interno delle cosce. Su una delle quali mi è rimasto un livido viola. 
Sdraiati sul letto l'ho pregato di parlarmi.
"Dimmi qualsiasi cosa, basta che mi parli", gli ho chiesto scivolando lungo il suo corpo, sostando sui capezzoli che ho leccato, succhiato, eccitato con i denti e con la lingua; poi sono scivolata verso l'addome, inumidendo ogni centimetro di pelle che incontravo durante il tragitto che mi ha portata al suo sesso rilassato.
Ho soffiato sulla peluria bruna e rivolgendogli uno sguardo, gli ho restituito il sorriso complice. 
"Che cosa fai?", ha domandato con la voce impastata d'eccitazione. 
"Dimmi cosa provi se faccio così...", ho sibilito appoggiando le labbra sulla punta che ho bagnato con qualche goccia di saliva.
"Cristo, Ines...", ha imprecato scosso da una contrazione che ho avvertito attraversargli il pene sensibile e reattivo ad ogni più piccola sollecitazione. 
"Adesso te lo prendo in bocca", ho sussurrato ricambiando il suo sguardo lussurioso.
"Dimmi se ti piace".
Ho schiuso le labbra testandone la consistenza, l'ho bagnato ancora con la lingua e la testa ha preso ad andare avanti e indietro, ma piano, per non perdere nessuno degli spasmi, nessun dettaglio della tensione che lo faceva crescere e spingere smanioso nella mia bocca.
Lui, roco, si lamentava, mi pregava, gemeva di piacere, illanguidito nel suo stato di erezione mentre lo cospargevo di saliva e muovevo la mano lungo l'asta turgida, imprimendogli un ritmi sostenuto, alternato alle mucose della bocca, alla lingua, alle dita... 
Lo eccitava più di quello che gli facevo, forse vedere come mi adoperavo per eccitarlo .
"Vienimi sopra", mi ha intimato in un rantolo eccitato.
"Ho voglia di venire... Fammi venire".
Mi ha stretto le mani intorno ai fianchi mentre allargavo le cosce, sistemandomi sul suo grembo.
"Lo sai che mi fai bagnare?", mi sono lasciata sfuggire in un gemito voluttuoso, sfregando il membro caldo sulla vagina.
"Lasciami giocare un po'...".
Ho iniziato ad accarezzarmi un seno, passando più volte il pollice sul capezzolo turgido, abbassandomi impercettibilmente sul sesso di lui ed estraendolo quando il piacere s'intensificava. 
Lo sentivo ansimare e ansimavo con lui, agognando l'attimo in cui l'avrei avuto dentro. Ma l'attesa era più dolce... era snervante, perché io  amo la tensione che pervade i nostri corpi quando sanno che da lì a breve si penetreranno fino a fondersi l'un l'altro. 
Ho lubrificato l'apertura dell'ano con due dita e ho guidato il pene gonfio e durissimo tra le natiche, scendendo a prenderlo fin nelle viscere. I nostri gemiti all'unisono, sempre più concitati e sostenuti, il suo respiro affannoso e la mia schiena che si fletteva all'indietro mentre con una mano mi masturbavo la vagina. Sono venuta così, portandolo all'orgasmo con la semplice visione del mio corpo che risaliva e scendeva sul suo sesso, offrendosi a lunghe penetrazioni, ondeggiando i fianchi, tenendolo dentro mentre sentivo le sue contrazioni pulsare tra le mie pareti fradice di umori. 
L'ho sentito gridare il mio nome, emettere un suono gutturale d'appagamento intenso mentre il suo sperma mi allagava le viscere, colando inarrestabile ed insinuandosi a fiotti tra le natiche, mentre lo facevo uscire guidandolo fra le cosce che ho serrato intorno alla sua virilità attraversata da spasmi e contrazioni sempre più violente. Ha continuato a venirmi dentro mentre avvertivo il sopraggiungere di un altro orgasmo, fragoroso, sullo scemare del primo. L'ho cavalcato selvaggiamente, offrendo i seni alla sua bocca avida, spingendo i fianchi contro i suoi mentre incollavo le labbra alle sue, facendomi penetrare da un bacio languido e lussurioso. 
Siamo esplosi insieme, sopraffatti da un orgasmo potente, violento. bellissimo. al culmine di un amplesso estenuante. 
Il mio nome è Ines. Ho una rosa bellissima che si sfoglia petalo dopo petalo fra le cosce. Casta e pura, lei. Ho un uomo innamorato della mia rosa. E' sempre bagnata. In questa stanza d'albergo c'incontriamo tutti i martedì e i venerdi da sedici mesi a questa parte. L'ho già detto, lo so. Da sedici mesi, durante il tragitto in macchina, aspetto che scatti il rosso di un semaforo per frugarmi sotto le mutandine, eccitata e vogliosa. Mi procuto orgasmi violenti. Quando il piacere si fa implacabile, accosto in qualche stradina secondaria e mi masturbo sul cambio. Lo muovo avanti, dietro... vengo.
Mi piace penetrarmi, mi piace sentire un corpo estraneo che mi entra dentro, che mi attraversa la carne fino a farmi grondare di piacere. Voglio che lui trovi la mia rosa già bagnata quando deciderà di immergervi le dita e io le leccherò. Non resisto all'idea di lui che non resiste dalla voglia di mettermelo dentro. 
Il suo stelo dentro la mia rosa.
Quale immagine più poetica di due corpi che si scopano? 
Nell'ardore ci si scambia i vestiti, ci si spoglia dell'anima che ci si alterna, indossandola nell'atto supremo, il più intimo ed estatico. Mentre ci si fotte a vicenda.
L'anima. Anche quella.